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Trento, 12 marzo 2012
IL CARCERE DI TRENTO: UNA STRUTTURA NUOVA CON METODI VECCHI
VISITA AL CARCERE E LEZIONE ALLA “SCUOLA LANGER” DI FRANCO CORLEONE

di Marco Boato
(questo articolo uscirà sul prossimo numero di UCT di Trento - mar-apr. 2012)

A Trento è attiva ormai da sei anni la “Scuola di formazione politica e culturale Alexander Langer” (che molti ormai chiamano semplicemente e confidenzialmente “Scuola Langer”), che, salvo nei mesi estivi, tiene un incontro alla fine di ogni mese della durata di un intero pomeriggio di sabato presso la Sala Rosa del Palazzo della Regione. Di alcuni di questi incontri nell’ultimo anno ha dato conto meritoriamente anche UCT, perché si tratta davvero di occasioni importanti, e aperte a chiunque sia interessato, per affrontare di volta in volta problemi di carattere politico, culturale e istituzionale, con particolare riferimento alle questioni ecologiche, economiche e sociali, alle tematiche internazionali, giuridiche ed etiche.

Riuscire a scavare profondamente nella complessità dei problemi, tentare di superare i confini ideologici precostituiti, guardare alle dinamiche e agli scenari del futuro tenendo conto anche della storia e della memoria del passato: questi sono gli obiettivi della “Scuola Langer”, non a caso intitolata alla memoria di un autentico testimone e profeta del nostro tempo, che ha lasciato una straordinaria eredità intellettuale, culturale e politica non solo in Trentino-Alto Adige/Südtirol, ma anche sul piano europeo e internazionale. Qualche mese fa è stata nuovamente edita la più ampia e completa antologia dei suoi scritti, Il viaggiatore leggero (Sellerio, 2011), con una nuova introduzione di Goffredo Fofi, nell’ambito della collana curata da Adriano Sofri. Una raccolta di testimonianze sulla sua figura, ancora disponibile, era stata da me stesso curata in occasione del decennale della sua morte volontaria: Le parole del commiato (Verdi del Trentino, 2005).

È proprio in occasione di una lezione alla “Scuola Langer” che il 3 marzo 2012 è venuto a Trento Franco Corleone, il quale era stato, da deputato dei Verdi, sottosegretario alla Giustizia dei Governi Prodi, D’Alema e Amato dal 1996 al 2001. Da anni Corleone è promotore dell’associazione “Forum droghe” e presidente de “La società della ragione”. Ma soprattutto è conosciuto per la sua instancabile attività quale “Garante dei diritti dei detenuti” per il Comune di Firenze e recentemente è stato anche nominato Coordinatore nazionale di tutti i Garanti dei diritti dei detenuti, fin qui istituiti a livello regionale, provinciale e comunale. Purtroppo, fino ad oggi né il Comune di Trento, né soprattutto la Provincia autonoma hanno deciso di istituire questa figura fondamentale per garantire una maggiore tutela dei detenuti nel quadro di un più stretto rapporto tra carcere, istituzioni e società civile. Alla “Scuola Langer” Franco Corleone ha presentato tutte le problematiche contenute nel volume collettaneo, pubblicato pochi mesi fa, Il corpo e lo spazio della pena (Ediesse, Roma, 2011), che ha come sottotitolo “Architettura, urbanistica e politiche penitenziarie”.

Proprio per il suo interesse alla situazione di tutte le carceri italiane, e non solo a quella di Firenze (Sollicciano), con la sua venuta a Trento Corleone ha richiesto anche di potere visitare il nuovo carcere di Spini di Gardolo, accompagnato da me quale ex-parlamentare da sempre impegnato sui temi della giustizia. Si è trattato di una ricognizione lunga e accurata, con la guida della direttrice Antonella Forgione, insieme al comandante Gorla e al vice-comandante degli agenti di Polizia penitenziaria. Quello che è emerso da questa esperienza è stato poi illustrato nel corso di una dettagliata conferenza stampa, a cui hanno partecipato anche Lucia Coppola, consigliera comunale di Trento, e Roberto De Bernardis, coordinatore della “Scuola Langer”.

“Quello di Trento è un carcere nuovo, ma concepito con criteri vecchi. È una discarica sociale, fuori dalla città, senza spazi aggregativi all’interno e progettato secondo criteri antichi. In questo modo non può svolgere la funzione del reinserimento nella società dei detenuti” (dal Trentino del 4 marzo 2012)  Ovviamente la prima responsabilità non è in capo né alla attuale direzione del carcere, né alla Provincia autonoma che lo ha ampiamente co-finanziato, ma alla concezione vecchia e superata di chi sovraintende alla progettazione delle nuove carceri nell’ambito del Ministero della Giustizia. Progettato per ospitare 120 persone, la sua capienza è stata immediatamente raddoppiata fino a 240, semplicemente aggiungendo in ciascuna cella un altro letto. Ma nel giro di un anno anche questo limite è stato oltrepassato, raggiungendo il 3 marzo (ogni giorno il numero cambia, a seconda degli ingressi e delle uscite, ovviamente) il numero di 273, sempre col metodo di aggiungere altri letti e quindi riducendo gli spazi all’interno di ciascuna cella (anche se ufficialmente si chiamano “camere”, purtroppo sempre di celle nella realtà si tratta). Circa il 65% dei detenuti sono stranieri e 159 uomini e 9 donne erano in quel momento in carcere per reati legati alla droga, oltre ad essere 61 uomini e 5 donne essi stessi tossicodipendenti.

È questo il motivo per cui Franco Corleone ha usato l’espressione “discarica sociale”, tanto più che solo 19 detenuti hanno fin qui potuto usufruire della recente legge del Governo Monti sulla detenzione domiciliare. Evidentemente – in assenza di un sostegno da parte di strutture esterne al carcere - altri probabilmente non hanno potuto ottenere l’applicazione di tale misura alternativa, non avendo un proprio domicilio da utilizzare al riguardo (altro che legge “svuotacarceri”, come ridicolmente e banalmente è stata ribattezzata troppo spesso dai mass media!). Uno degli aspetti emersi dalla visita è che sono ridottissimi gli spazi per la socialità: non esiste alcun refettorio che consenta ai detenuti di mangiare assieme, mancano i fondi per attrezzare adeguatamente la palestra, non sono previsti spazi per l’affettività con i familiari, pur essendo richiesti dal Regolamento del 2000, che era stato varato proprio durante il mandato governativo di Corleone (il quale aveva la delega per le carceri da parte del Ministro della Giustizia di allora) e a cui aveva lavorato un magistrato di grande valore come Alessandro Margara, all’epoca a capo del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria (DAP). Del resto Margara era stato anche il principale consulente, a metà degli anni ’80, per il varo della “legge Gozzini” del 1986, poi sempre più depotenziata negli anni recenti in forza dei cosiddetti “pacchetti sicurezza”, che hanno via via ridotto e limitato le possibilità di accesso alle misure alternative alla detenzione. Queste le amare notazioni contenute nell’introduzione di Corleone al volume che ha presentato nel pomeriggio del 3 marzo nella sua lezione alla “Scuola Langer”: “Con la lunga teoria dei cosiddetti pacchetti sicurezza, sostenuti da Governi di diverso orientamento, ma ugualmente subalterni alla logica della finta rassicurazione degli istinti di paura, e infine per i provvedimenti approvati sotto la gestione del ministro Alfano, resta insomma irrisolto il nodo di come dare attuazione al troppo citato articolo 27 della Costituzione sul carattere della pena, nella parte che dà prevalenza alla rieducazione del condannato”.

Sugli aspetti specifici che riguardano la situazione attuale del Carcere di Trento, ha rivolto una interrogazione al nuovo  Ministro della Giustizia, Paola Severino, la deputata trentina Laura Froner, basandosi sulle notizie giornalistiche della conferenza stampa tenuta da Franco Corleone dopo la nostra visita in carcere. Mentre sulla grave questione della mancanza a Trento di un Garante dei diritti dei detenuti è intervenuto nel pomeriggio alla “Scuola Langer” il consigliere provinciale Mattia Civico, illustrando le incredibili difficoltà finora incontrate in Consiglio provinciale per vararne finalmente una legge istitutiva.

“Spini, il carcere è già vecchio”, ha intitolato il 4 marzo il Corriere del Trentino l’articolo dedicato alla conferenza stampa di Corleone. E così ha sintetizzato le sue dichiarazioni l’Adige dello stesso giorno: “Il pericolo è che il carcere si ritrovi ad essere anche lontano dal cuore della gente e l’impegno delle associazioni di volontariato e delle Istituzioni deve essere raddoppiato”. Sia nella conferenza stampa, sia nella lezione alla “Scuola Langer”, Corleone - a proposito della mancanza a Trento di un Garante dei diritti dei detenuti - ha rivolto un appello all’opinione pubblica e soprattutto alla classe politica del Trentino, “affinché si attivino i provvedimenti necessari per l’istituzione di questa figura di fondamentale importanza”.

Dai primi mesi del 2012 è stato nominato a livello nazionale un nuovo capo del DAP, il magistrato Giovanni Tamburino, che ha alle spalle una lunga esperienza come magistrato di sorveglianza prima a Venezia e poi a Roma. Così ha concluso una sua bella intervista a la Repubblica dell’11 marzo 2012: “Rispondo con uno slogan: ‘più sicurezza per la società e meno carcere’, perché l’equazione ‘più sicurezza uguale più carcere’ è falsa. Bisogna costruire pene alternative con una grande forza deterrente, diverse dal carcere. La cella è una medicina pesante e con molti effetti collaterali. Va somministrata solo in caso di effettiva necessità”.

Sono parole pienamente condivisibili, che fanno capire quanto siano state sciagurate le leggi che negli ultimi anni hanno incentivato sempre di più la “carcerizzazione”: la legge Bossi-Fini sull’emigrazione, la legge Fini-Giovanardi sulle droghe, la legge ex-Cirielli sulla recidiva, e altre ancora. È davvero necessaria una drastica inversione di tendenza, per arrivare ad utilizzare il carcere solo come extrema ratio, quando lo richiedano i reali problemi di sicurezza e la pericolosità dell’imputato (in caso di custodia cautelare) o del condannato. E dentro il carcere è necessario poter affrontare adeguatamente i problemi della socialità, della scolarità, del lavoro, dell’affettività. Un diverso rapporto carcere-società, una diversa concezione della pena, un più largo uso delle misure alternative al carcere, quando non ci sono esigenze dettate dalla pericolosità sociale, permetterebbero di affrontare questo ordine di problemi con un approccio differente, davvero in sintonia con il dettato dell’articolo 27 della Costituzione: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato”.

 

  Marco Boato

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